L’origine di questa comunità era sempre stata avvolta nel mistero. Solo recentemente lo storico don Giulio Mosca nel suo libro “Storia di una Abbazia dimenticata. A mille anni dalla fondazione” ha aperto uno squarcio nel misterioso velo, proponendo una ipotesi affascinante e molto credibile.
Alla fondazione del nuovo agglomerato abitativo, che prese dapprima il nome di Corno Nuovo, avrebbe provveduto un gruppo di quegli esuli lodigiani fuggiti da Laus Pompeja il 23 aprile 1158 in procinto di essere distrutta dai milanesi.
Non tutti si rifugiarono a Pizzighettone, come si è sempre ritenuto, ma alcuni, giunti a Maleo, deviarono per rifugiarsi nelle terre e sotto la protezione della potente Abbazia di S. Stefano, mentre altri , attraversato il Po, ripararono in alta Val Nure dove fondarono Cogno S. Bassano.
Durante i successivi 3 secoli la piccola comunità continuò a crescere anche per i costanti e privilegiati rapporti esistenti con i reggenti e con alcune delle famiglie più in vista della città di Lodi.
Nel 1346 Corno Giovine era già feudo autonomo e fu concesso da Gian Galeazzo Visconti, signore di Milano, al fedele Guglielmo Bevilacqua.
Questa nobile famiglia non risiedette mai nel feudo, ma lo tenne per oltre 4 secoli gestendone la proprietà dalla avita residenza ferrarese, fino all’abolizione degli stessi nella seconda metà del XVIII secolo.
Per tale motivo non sorsero mai in paese grandi castelli o fastose ville signorili, ma i cornogiovinesi furono sempre molto vivaci nell’esercizio di attività agricole ed artigianali, divenendo giocoforza piccoli imprenditori costituenti una sorta di borghesia locale che lasciò alcune dimore di un certo interesse architettonico delle quali rimangono tracce a Castelletto, Contesse, Campagnetta, Palazzo Pedrazzini di Via S. Rocco: sono testimonianze dell’antico diffuso benessere.
Una lapide sepolcrale del 1420 ci attesta l’esistenza di una prima chiesa; un breve pontificio di Pio II del 1460 ci conferma la presenza di una comunità parrocchiale; un manoscritto del 20 giugno 1496 ci da la notizia dell’erezione di una cappellania di S. Bernardino nella Chiesa parrocchiale dedicata all’armeno San Biagio Vescovo e Martire.
La Parrocchia estendeva la sua giurisdizione su tutto il territorio che a quel tempo era situato al di qua del fiume Po fino alle terre che ancor oggi risultano esistenti quali Regona, Passone, Sparavera, Gargatano e numerosi altri; arrivava quindi a lambire le comunità di Mortizza e Roncaglia da sempre appartenenti al Ducato di Parma e Piacenza. Gli eventi alluvionali che si susseguirono con molta frequenza nei secoli successivi, causarono un allungamento verso nord del fiume a forma di cuneo, quasi a formare un corno, dapprima appena accennato ma via via sempre più diretto verso nord, vale a dire Corno Giovine e S. Stefano al Corno: alcune di quelle terre vennero così a trovarsi al di là del fiume, come Sparavera e Gargatano; Passone, pur essendo un “castrum”, rimase una piccola località, mentre tutto il paese di Regona, compresa la chiesa dedicata a S. Michele, subì distruzioni tali al punto che oggi, al di qua dell’argine maestro, è rimasto poco più del toponimo; la chiesa, riedificata più volte e dotata di campanile, fu definitivamente distrutta nell’alluvione del 1837.
Nel 1821, i decreti vescovili delle due diocesi interessate – Lodi e Piacenza – avevano rettificato i confini parrocchiali, dopo che Napoleone, per parte sua con Decreto del 26 settembre 1798, aveva già stabilito che la linea divisoria fra Lombardia ed Emilia fosse rappresentata, almeno in questa zona, dalla mezzeria del letto del fiume.
La nascita della devozione ai Morti della Porchera è documentata da una lettera scritta il 26 agosto 1751 dal Rettore di Corno Giovine don Nazzari alla curia Vescovile di Lodi. Da allora sul luogo ove si raccoglievano i devoti fu eretta una gran croce, poi sostituita nel 1853 dall’attuale Cappella, allungata, nel 1938, con l’aggiunta di un piccolo porticato. La formazione della Comunità Civile, come abbiamo visto, parrebbe quindi risalire al 1158; per molto tempo si chiamò Corno Nuovo proprio perché rappresentava un nuovo insediamento al centro di tutto quel vasto territorio che andava dal Corno – successivamente definito “Vecchio” – a S. Stefano al Corno – come si chiamò fino al 1916 quando decise di chiamarsi “Lodigiano”. Il simbolo della Comunità fu sempre rappresentato dal “Corno da Caccia”; ce lo attesta il basamento del Battistero, ancor oggi esistente nella Chiesa Parrocchiale. Risale al 1400 ed è l’oggetto più antico che sia pervenuto a noi. Questa sacra suppellettile ci fornisce la dimostrazione che la Comunità Civile, pur limitata nell’estensione, ebbe giurisdizione prima di quella parrocchiale la cui erezione, come detto, risale al 1460. Anzi da allora convisse con il “Castrum Passoni” e con il piccolo comune di Aimivilla (le attuali località di Buonpensiero, Campagnetta e Campagna) che, pur soppresso, mantenne una propria contabilità nell’ambito di quella del Comune di Corno Giovine, fino al XVIII secolo, quando scomparve anche questo residuo di memoria…contabile; il toponimo fu mantenuto fino agli anni 20 del secolo scorso quando Via Aimivilla fu sostituita con la denominazione di Via Roma. Non conosciamo molto della vita civile della comunità: sappiamo che nel 1625 era 1° deputato Concoreggio Bartolo; nel 1645 era Pretore Puschas Mario, poi sostituito da Bocelli Marco Aurelio. Nel 1767 fu Sindaco Pignacca Giuseppe. Anche i due Comuni di Corno Giovine e di Mezzano Passone erano destinati a fondersi. Nel 1774 la Parrocchia di S. Biagio contava 2.386 anime; quelle lodigiane (Corno Giovine ed Aimivilla) erano 1.670; quelle piacentine (Mezzano Passone) erano 716 e non c’era ancora stata l’ultima terribile inondazione del 1837. Nel 1868, l’anagrafe del piccolo comune aveva registrato 17 nati, 13 matrimoni, 9 morti su una popolazione ormai ridotta a poco più di 400 persone. Il 24 gennaio 1869 fu emanato il Real Decreto di soppressione e di aggregazione a Corno Giovine. “L’antico Comune piacentino” morì a tutti gli effetti giovedì 29 aprile 1869, quando il Sindaco Giovanni Battista Fornaroli consegnò i registri di stato civile a quello di Corno Giovine, Angelo Massimini. Ambedue si dimisero dalla carica e si tennero nuove elezioni. Nuovo Sindaco dei due territori comunali riuniti fu eletto Giovanni Ramelli. Intanto la cittadinanza veniva dotata dei più elementari servizi. Oltre al servizio medico ed ostetrico, abbastanza comuni anche negli altri paesi, fin dal 1700 funzionava una farmacia; ai primi del 1800 risulta esistente una scuola pubblica, più capace di garantire istruzione rispetto alle antiche confraternite; prima del 1850 era già attiva una corale per l’esecuzione di canti religiosi, suscitando un tale interesse per la musica che a fine secolo ben 4 fratelli, appresi dal loro padre i primi rudimenti dell’arte musicale, dopo aver frequentato i conservatori, raggiunsero livelli tali da essere ancora ricordati. Si tratta dei fratelli Pasquale, Giuseppe, Pietro ed Oreste Montani. Dal 1857 al 1862 fu coadiutore don Angelo Bersani Dossena, che divenne poi Vescovo Ausiliare di Lodi, molto attivo nella promozione sociale di clero e popolo. Corno Giovine ebbe la fortuna di annoverare tra i suoi figli anche don Giuseppe Rolla, il quale, divenuto Parroco di Borghetto, vi fondò la locale Cassa Rurale; salito sulla cattedra vescovile di S. Mercuriale a Forlì nel 1932, vi rimase fino alla morte avvenuta il 2 agosto 1950. Nel 1880 risulta funzionante quell’istituzione che venne chiamata Scuola – Famiglia per l’assistenza ai bambini in età pre-scolare, seguita, nel novembre 1901, dalla fondazione di un Asilo Infantile vero e proprio. Nel 1892 nacque la Filodrammatica che continuò per molti anni ad esibirsi in spettacoli generalmente apprezzati. Verso la fine del XIX secolo la vecchia fornace, funzionante da secoli, dovette chiudere i battenti a causa di gravi difficoltà economiche. Ma dal 1903 al 1909 don Luigi Savaré compì in questa Comunità le sue principali esperienze sociali finalizzate a soccorrere le condizioni dei lavoratori della terra costretti a vivere in miserevoli condizioni. Tra esse l’iniziativa più coraggiosa fu l’acquisto e la ricostruzione della nuova fornace, ancor oggi esistente, che arrivò ad occupare fino a 150 lavoratori, consentendo ad altrettante famiglie di raggiungere maggiore benessere economico con sicurezza previdenziale e assistenziale. Si attende la sua glorificazione alla gloria degli altari.